«Quando fu il nostro turno di lasciare il campo, io mi trasferii nella mansarda che mi era stata messa a disposizione e per la quale pagai una somma mensile simbolica. I miei genitori riuscirono a trovare un alloggio anch’essi in una mansarda che si trovava nelle vicinanze. […] Dovevo provvedere anche ai miei genitori, e dopo la nostra permanenza nel Lager dovemmo ricominciare la nostra vita da zero: ricostruirci una sicurezza e una casa modesta» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 142-143)
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Federica Spitzer in Valle di Muggio (1956).